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LUOGHI ED ESSENZE DEL FANTASTICO   di Marida Faussone

 

La traccia del «reale», nella concezione di Mario Perosino, divampa nella stagione delle «Battaglie», tormentate costruzioni spaziali, a china o ad olio, innervate di umori e lumeggiamenti, nella cosmica tensione di figure e destrieri. I primi frammenti, dalla cromia baluginante e filamentosa, denotano una sensibilità in formazione — vigorosamente attratta dalle esperienze della scuola romana tra le due guerre, ma incline allo studio del disegno e della statuaria prerinascimentale umbro-toscana accanto alla lezione timbrica del rinascimento e barocco veneto — e confluiscono nelle rassegne pittoriche dcl secondo dopoguerra cittadino (la Mostra d’Arte Interregionale, Asti 1947; la Mostra di pittura, Asti 1948; 1 a Mostra di gruppo «Moderni pittori astigiani», Asti 1950).


Sono gli anni, in cui il ventenne Mario Perosino trae sollecitazioni dalla cerchia intellettuale del Circolo Culturale «La Giostra» di Via Carducci, vivace cenacolo promotore di allestimenti d’arte contemporanea, dibattiti, letture teatrali sulle tendenze sperimentali dell’avanguardia europea. Accanto ai fondatori, Giorgio Griffa ed Eugenio Guglielminetti (1946), vi gravitano autorevoli personalità astigiane e prestigiosi protagonisti della cultura internazionale degli anni Cinquanta. In tale ambito si annovera anche Corrado Cagli, che in Asti diviene ispiratore dell’Arazzeria di Ugo Scassa della Certosa di Valmanera, ed a Roma fautore delle esperienze artistiche di Mario Perosino, allorché vi approda per compiere il servizio militare. L’attenzione alla linearità mobile ed evocante del maturo maestro e lo studio delle tecniche pittoriche degli antichi rafforzano in Perosino la vocazione ad un’autonoma ricerca linguistica, che affiora nella sua precoce complessità fin dai cicli compositivi del primo decennio.


Il primo allestimento personale in Asti avviene presso la galleria d’arte «La Giostra> nel 1951, cui seguono l’esposizione nella sede della Società Promotrice delle Belle Arti nel 1957 e le partecipazioni al Premio Alfieri del 1959 e 1962. Il disegno, ancora alle soglie degli anni Sessanta, assume in Perosino talora un’urgenza di trasposizione più obiettiva e serena della percettività del quotidiano: ne nascono fogli a china dal retino grafico calibrato e soffuso, come «Paesaggio» e «Draga sul Borbore», che Silvia Taricco ricorda nel saggio pubblicato su «Il Platano» (maggio 1977): «. . .certe visioni paesistiche, a china, dove un leggerissimo puntillismo riesce a dare sofficità alle fronde, alle prode erbose dei primi piani, in una «maniera» giocata sull’antico, che però sarebbe piaciuta a un Cino Bozzetti...».
L’ampia mostra, patrocinata dal Lions Club, nei vani dell’Antico Battistero di San Pietro nel 1967, raccogliendo centoventi opere, consente di definire contenuti ed intenti di una poetica in evoluzione. Le nette cesure ed i ritmi quieti di una percezione inappagata paiono ormai definitivamente dissolversi nella rarefatta vacua spazialità delle nuove, ampie tele, su cui si stagliano parvenze loricate e spettrali, presenze eroiche allusive e ieratiche, mitiche reminiscenze della civiltà elladica e mediterranea filtrata dalla meditazione dechirichiana, indomiti protagonisti di un tragico fato, contratti nella statica gestualità dal profondo pathos, ma proiettati in un surreale estraniamento («Guerriero grigliato», china; «Trio», olio; «Colloquio», olio).
Di contro al «vero», Perosino attinge ormai aIl’inperscrutabile mistero dell’immaginario, lungo i versanti di una spiritualità interiore quanto mai appartata. Strutture ermetiche scaturiscono dall’astrazione intellettiva in una stupefatta misura compositiva che ne accresce la dimensione di sortilegio: annullati i fondi di posa in un compatto monocromo, gradualmente schiarito attraverso i decenni, l’evento si cristallizza in un’astoricità sospesa ed attonita. Passato e presente si fondano nella stratificata visione della memoria, nella consonanza di remote rimembranze estetiche, di sollecitazioni contingenti e caduche, nell’incanto, assoluto ed irrepetibile, della rivelazione.

 

«Condottieri», «Gladiatori» condensano nella durevolezza costruttiva del segno la fisicità corposa del timbro cromatico, in tacite scansioni d’immobile attesa. Costituiscono tematiche che l’artista presenta in alcune rassegne espositive romane, alla «Galleria 88» ed alla Mostra Internazionale «Il cavallo», quindi nella personale ordinata da Corrado Casoli alla galleria «Nuovo Carpine» (l968, in cui Perosino raccoglie ampie consensi nella società culturale romana.

L’intuizione creativa di Perosino rielabora motivi e valenze estetiche di un patrimonio culturale ed umano storicizzato, ma remoto e perduto alla contemporaneità, perciò più amato ed idealizzato, indagato nelle sue celate implicanze stilistiche e tecniche, come un arcano mistero che si disvela soltanto al poeta che ne sa frugare le riposte essenze: è il mito dell’immaginazione, in cui irreale e reale vivono in un’imponderabile aura, la fantasia lirica. «Lesbia» (olio, 1969), «Lanzichenecco» (olio, 1969), «Zarathustra» (olio, 1970) levitano, evocazioni enigmatiche e silenti, tra la fascinazione di colti troubadours e la minuziosa dovizia del tardo gotico franco-fiammingo, sul margine dell’estro prezioso di Bisanzio ed il cesello calligrafico dell’Impero del Sole.
L’astrazione intellettiva tuttavia compie ardite sortite: da un lato, sonda il florilegio simbolico nel primo ciclo delle «Architetture», d’altro canto, inalbera, temeraria, dinamiche strutture ironicamente geometrizzanti e metamorfiche, venate di illusività, come il possente dipinto «I Centauri», esposto in personale alla galleria romana «Il Cerchio d’Oro» nel 1973. Nello stesso anno Dino Carlesi conduce un’organica indagine critica sulla produzione pittorica di Perosino nel quinquennio 1969-73, in occasione della personale alla galleria «Boccuzzi» di Firenze. «L’atto che scaturisce dal profondo è sempre «conoscenza», — commenta in catalogo Carlesi — «gravano sulla percezione infinite componenti umane, la rappresentazione è sempre frutto di fattori logici e illogici: queste figure di Perosino — metalliche e pur tenerissime — nascono da chissà quali profonde ombre e si proiettano dentro la storia presente con la spavalderia di chi sa di attingere ancora a fonti autentiche di candore e di grazia. Per cui il suo messaggio si fa anche protesta verso qualcosa da rifiutare, difesa dell’intelligenza, ormai screditata dalla massificazione violenta, aspirazione al sogno come difesa e consolazione».
Gli anni Settanta sono contrassegnati dalla tenace intensità con cui Perosino indugia su alcune, ormai selezionate, tematiche: l’indagine figurale virile; il ritratto femminile; le armonie interiori riflesse nelle arti, quali la musica, l’architettura, la decorazione; il mistero dell’esistenza e la tenebra della morte. Nel riannodare, attraverso cicli e decenni, i fili dell’insistita meditazione di Mario Perosino sulla «bellezza» e sulla «purezza», al di là dell’idealizzazione in categorie astratte, bensì come entità di compiutezza estetica ed etica, di perfezione interiore e di emanazione esteriore, se ne definisce anche la completezza del processo linguistico e tecnico, nell’armonizzazione della linearità compositiva con la preziosità cromatica, funzioni elaborate incessantemente in virtù di una forma in divenire. Infatti, «Suonatrice di arpa» (olio, 1971), «Dama di fiori» (1970), «Il Falconiere» (olio, 1973), «Organista» (olio, 1972 si strutturano per mobili geometrizzazioni di una sintassi immaginifica che mai dimentica l’elegante voluta architettonica, l’armonia conchiusa del rosone, l’esilità della colonna, la bloccatura arcaica del trono, la grazia fluida dello strumento musicale (il liuto, la mandola...), la malìa simbolica dei vegetali (la rosa, l’asfodelo, il palmizio...), la sacralità animale (il cardellino, l’upupa..), l’emblematica presenza oggettuale nella ritualità esistenziale (lo specchio, il ventaglio, i monili...). Variegati esemplari del comporre di Perosino si riscontrano in «Paesaggio» (olio, 1971), «Specchio magico» (1971), mentre singolare sinteticità regola le trame formali di «Cavallo a spirale» (olio, 1970), «La danza del nò», «La notte» (olio, 1973), avvincenti preludi alla ricerca attuale.
 

 

Gli allestimenti personali del 1978 e 1983 alla galleria astigiana «La Fornace» costituiscono i due incontri più recenti dell’artista, sempre più schivo e riservato nella sua città, turbato dai facile clamori e dalle effimere chimere della società contemporanea, raccolto nell’eremo del proprio athelier, dedito al metodico operare di sempre, in paziente colloquio con le proprie aspirazioni e le disillusioni, nel suscitare larvali inquietudini dall’abisso dell’inconscio, nell’inseguire, sul flebile margine dell’intuizione, labili sogni. Il tempo, per Perosino, anziché pulsare sul digitale, fluisce nell’ impercettibile sgranarsi di un’ invisibile clessidra: i supporti — tela o carta — vengono preparati con minuzia, secondo il preciso esperire dei maestri antichi; il segno assume il valore dello studio preparatorio, dell’approfondimento nei rapporti strutturali, nella calibratura volumetrica, nei trapassi chiaroscurali; il colore si modula mediante selezioni abili di valori timbrici, graduati in virtù delle potenziali energie emozionali, dal contrastare di accordi accesi e cupi allo smorzarsi delle entità chiare e dei semitoni, in un rigoroso contrappunto d’ordine musicale. Ogni opera vive dunque un’autonoma genesi.

La razionalità di struttura e di esecuzione tuttavia viene attutita dalla tessitura interna dell’opera, dalla sua impaginazione sempre problematica e coinvolgente, da quel rimandare analogico dell’immagine, imprigionata nella trama grafica, ma allusivamente traboccante di significanze e di oscuri presagi.
I paralleli spazi espositivi di Palazzo Mazzetti di Frinco e del Foyer del Teatro Alfieri, sotto il patrocinio dell’Ente Comunale e di Asti Teatro 15, accolgono ora le grandi composizioni ad olio, i disegni a china ed acquarello, le tecniche miste. Accanto alla raggelata ragnatela segnica di «Donna con leopardo» (tecnica mista, 1978), si dispongono libere astrazioni creative, ove è la percezione emozionale ad ordire simmetrie lineari e sintonie timbriche («Meditazione>; «Arcangelo»), sottese al raffinato gusto per la cesellata elaborazione d’ascendenza secessionista. «Il leopardo» ed il ciclo delle recenti «Architetture» sintetizzano pertanto quell ‘emblematico convergere, nella concezione di Perosino, del patrimonio iconologico dell’antico Occidente e mitteleuropeo moderno con i referenti simbolici della civiltà d’Oriente. Da tale trasposizione contenutistica ed estetica deriva una condizione spazio-temporale alienata dalla storia, tuttavia non anacronistica né surreale, poiché luoghi e presenze rimandano a codici identificabili nella mente di ciascuno. Lo stesso estraniamento della testimonianza storica, nel contesto dell’immaginario di Mario Perosino, è funzione interpretativa della conoscenza ed obbedisce all’autonomo processo creativo, che solo nella libera emanazione della forma trae vigore e sollecitazione al suo divenire. Fluido dispiegarsi di forma in forma, ci sovviene infine la colta figurazione dell’allegoria, che Perosino persegue nella ritrattistica femminile in svariate tecniche. «Donna con ventaglio», «Medea», «Flora» si modellano sulla tipologia dcl primo Rinascimento italiano in un’idealizzazione stereotipa di trasfigurazione «cortese». esaltata dall’invenzione fantastica di complicate acconciature e ricchi copricapi, monili e gemme, suggellate da un colore puro e brillante, perciò più inatteso ed efficace, perché distillato dal Seicento del Regno di Spagna e dal realismo barocco d’influenza caravaggesca. «Melanconia» ed alcune rare composizioni con oggetti in interno colmano, in proiezione metafisica, il conflittuale dualismo tra reale ed immaginario della quarantennale poetica dell’artista: gli oggetti del quotidiano, la memoria degli affetti, le presenze d’astrazione. Nel superamento della finitezza degli uomini e delle cose, per Mario Perosino, si cela l’essenza della pittura, una linfa segreta e perenne, che esorcizza incertezze ed affanni e dona il conforto di un codice universale, riconoscibile alla spiritualità umana, tra passato e futuro.

 

 

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